E’ primavera altrove.

L’acqua si insinua in ogni dove, sbatte, lo fa con accentuata violenza e mascherata indulgenza. Sbatte sul vetro di plexiglass di un treno che mi porta sempre a destinazione senza fermarsi troppo a farmi assaporare la strada, i profumi, gli odori.

E’ primavera altrove. Meglio, io preferisco l’inverno.

Ogni stagione è meravigliosa, con la sua poesia, con la sua prosa, con il mio restare sospesa, tra una cosa e l’altra, protesa, verso nuovi orizzonti, indifesa, con le unghie devastate dalle corde di nylon, per inventare storie, per cantare storie, per raccontare storie. Con le unghie che così non servono a niente perché poi, da me non so difendermi. Da me non so difendermi.
L’inverno ripara, cuce i tagli, congela ferite, anestetizza, rigenera.

Con le sue piogge abbondanti rinasco io, come rinascono i fiori, anche quelli che il freddo strema, che sembrano morti, quelli che pulsano in silenzio, pulsano di vita che gli altri non vedono perché attendono, con disperata trepidazione, un epilogo, un epilogo scarno d’emozioni se non si sanno assaporare gli inizi: i dettagli, i percorsi, i primi passi, gli intoppi, le cadute, le sfide, le cose facili, le cose difficili.

Quell’inizio che vedono in pochi.

Quell’inizio che ho imparato a vedere nei fiori d’inverno che pulsano di vita, una vita invisibile a tanti, una vita che cresce, a passi lenti, che porta a destinazione mostrando tutte le strade, mostrando tutte le sfumature, quella vita che non vedi e che quando resiste può durare in eterno, come questo momento di primavera altrove.

Non è questo, non è questo l’odore che voglio sentire.
Non è questo il sapore di cui mi voglio nutrire.

Fatemi scendere, non mi importa della destinazione, voglio sfidare la strada, voglio sbagliare, perdermi, distruggere e ricostruire, voglio pulsare, come i fiori d’inverno, che anticipano la vita, che portano al finale, che sanno di vita, di vita infinita.

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