Non riesco a trovare un incipit adatto a questo post. Nella testa fanno eco le sirene che hanno svegliato Kiev. Nella testa fanno eco le immagini che arrivano. Immagini forti, di persone che giacciono al suolo prive di vita. Sembra lontano, eppure accade a pochi passi da noi. Il fatto è questo: tutto quello che accade dovrebbe sembrare che sia solo a un passo da noi perchè, uso le parole di De Andrè, in quanto io non ne ho molte “per quanto voi vi crediate assolti, siete comunque coinvolti”.

Ora, non voglio tediare nessuno con tutto quello che avrei da dire in merito: per me la guerra non è concepibile, nessuna guerra ha senso, punto. Al momento, ci sono molti conflitti nel mondo, di tanti non si parla nemmeno, restano lontano dalle narrazioni quotidiane, eppure accadono. Quello in Ucraina non è il primo, non sarà l’ultimo e il perché non voglio spiegarlo, nè voglio raccontarlo con tutte le nozioni imparate a lezione di storia o storia delle relazoni internazionali, nemmeno con quelle di sociologia economica, società e cambiamento o sociologia delle migrazioni. Non voglio spiegarlo e raccontarlo nemmeno con tutte le citazioni dei libri o degli articoli di geopolitica, reportage e tanto altro letteralmente divorati per curiosità, ma anche per comprendere meglio tante dinamiche che, seppur ben chiare nella mia testa, non trovano spiegazione logica se ritorno al concetto primario valido per me: nessuna guerra ha senso. Non voglio spiegarlo perché non so neanche se ne sarei capace.  È scoppiata un’altra guerra, è già assurdo questo. Voglio solo dire una cosa e per farlo userò le parole di un bambino incrociato lungo il mio percorso.

“Ma perché non fanno la guerra con i videogiochi? Io sono bravo a giocare alla guerra. Non ci sarebbero morti veri, nemmeno una guerra vera, sarebbe finta, ma vera. Chi vince vince, io potrei vincere. Gioco tanto” – disse guardandomi dritto negli occhi sottolineando che passava più tempo a casa a conquistare territori e uccidere “persone finte” nei videogiochi, piuttosto che con le persone vere all’esterno.

Ecco, viviamo in un mondo in cui si insegna ai bambini a “giocare alla guerra” e ci si dimentica di farli scendere in strada a stare con gli altri. Viviamo in un mondo in cui ci si dimentica di ricordare loro che siamo tutti connessi, siamo tutti esseri umani. Viviamo in un mondo in cui lo scontro o il conflitto sono cose normali.  In cui uccidere, anche per finta, per gioco, non provoca alcun tipo di emozione. Non irrita nemmeno, è finzione: è normale. Non si muore davvero. Eppure io muoio tutte le volte che un bambino crede che fare la guerra sia normale, perché la guerra non si fa neanche per gioco: è questo quello che dovremmo insegnare ai più piccoli. Altrimenti poi crescono e la guerra la vogliono fare davvero, perché vogliono provare quei giocattoli che hanno imparato ad utilizzare per finta.

Uno pensa che la storia qualcosa l’abbia insegnata, poi si rende conto che la storia non ha insegnato nulla. No, non abbiamo imparato proprio niente. Nemmeno questi due anni di pandemia sono serviti a scuotere le coscienze. E forse si, aveva ragione Davide (il bambino), magari sarebbe meglio fare una guerra combattendo dietro uno schermo.  Il problema però è che tante guerre oggi nascono proprio dietro gli schermi, dietro i potenti che muovono le loro pedine come fossero i giocatori di una grande partita a Risiko, facendosi scherno della “diplomazia”, scendendo a compromessi, facendo una scelta piuttosto che un’altra, quando la verità è che bisognerebbe dire basta, punto.  Rafforzo il punto perché ce n’è davvero bisogno.

Il problema è che alla fine, di qualsiasi conflitto si tratti, sia esso risolvibile  “diplomaticamente”, sia esso fisico e brutale con le armi, a pagarne le conseguenze sono i cittadini, perché perdono sempre: perdono la vita e se non perdono la vita perdono dignità e diritti. Intanto i potenti si dividono il bottino. Ma davvero vogliamo vivere in un mondo in cui esiste il concetto di guerra e conflitto? In cui i popoli combattono l’uno contro l’altro? In cui le belle parole sui paesi che non accettano la guerra sono solo parole? In cui i popoli, al posto di coesistere, si distruggono a vicenda? Non è solo sbagliato, è assurdo. Nessuna guerra è giusta. Stiamo assistendo – inermi, perché almeno io mi sento tanto, troppo piccola di fronte a tutto questo – ad un’altra pagina tristissima di storia, una pagina, anzi, scusate, un intero capitolo, che non avremmo dovuto aggiungere.

Foto Corriere