Posticipò la sveglia, dopo un sogno contorto e astratto, ma così bello che non voleva smettere di sognare. Poi fuori i rumori, tremendamente molesti, zzzzzz, tum, tram, ratatatam, strkzzfiuuu tum, tatatam. Non c’era storia, si doveva svegliare, e diamine si, erano le 7.30, aveva una valigia da preparare e un passaggio da prendere per un altro viaggio da affrontare. Che poi non doveva andare lontano questa volta, ma sperava che si, a posteriori, questa parentesi, l’avrebbe portata altrove. Perché lei non era fatta per restare, era fatta per andare, e magari tornare, ogni tanto, solo che aveva iniziato tardi ad andare sul serio. Eppure il sentore lo aveva avuto, un giorno, quando le chiesero di restare e lei fuggì, a gambe levate, lontano, per tre mesi. No, lei non era fatta per restare, ma non era solo una questione di viaggi, lei andava lontano pure con la mente, era un viaggio continuo, quello di Amye Nefrasca, non stava mai ferma, mai, aveva questa strana paura d’arenarsi, incatenarsi e aggrovigliarsi. Che casino pensò, che casino che sono, ripeté ad alta voce, con le mani in faccia, quasi come se volesse proteggersi da sé stessa consapevole del fatto che da sé stessa, no, non poteva fuggire. Nel corso della sua parte di vita aveva incontrato qualcun altro come lei, erano anche loro un bellissimo caos dopo l’altro, li riconoscevi subito, avevano paura, ma osavano lo stesso, la vita per loro era un bene preziosissimo e questo significava vivere davvero, dunque osare, erano bravissimi a capire con uno sguardo, o con una sensazione, quello che accadeva nei mondi altrui, ma erano un casino pazzesco con sé stessi, si, lo erano sul serio e infine erano liberi, liberi di un libero che a molti faceva paura, liberi, così tanto che per molti erano pazzi, liberi, così tanto, che riuscivano a legarsi solo con altri come loro, perché raramente, quelli diversi da loro, avrebbero potuto capire quello che c’era nel loro animo. Un giorno uno di questi disse ad Amye: “Sei anche tu una di noi sai?” “una di che?” rispose Amye, “una VStrice” disse lui con convinzione “cosa?” rispose ancora Amye, con la faccia a forma di punto interrogativo. “Una VStrice: viaggiatrice e sognatrice: la tua costante è il moto, se ti fermi sei perduta, devi sempre andare, non puoi stare ferma, né col corpo, né con la mente, altrimenti muori dentro. Sei un po’ come le onde del mare, o il vento, tu “stai”, ma vai, sempre. E se non mi capisci adesso, lo capirai col tempo. Tu sei una di noi, diamine se lo sei”. Chissà che fine aveva fatto lui. Era ancora perso da qualche parte in Australia? Amye capì solo sull’orlo di quel pensiero come aveva fatto a riconoscerla, tanti anni prima, nonostante lei fosse arenata in una parte di vita che non le apparteneva. Si stropicciò gli occhi, sgranchì le gambe, sorrise e giù, via dal letto, verso la valigia, verso la strada, che era la sua costante, la sua casa mobile.