Amye chiuse gli occhi e li riaprí sperando di vederci meglio, invece no, si era solo persa un momento e nel lasso di tempo tra il chiudere e il riaprire, la sua vista dovette rielaborare il tutto faticando per mettere a fuoco. Quante cose belle si era persa lungo la strada a furia di chiudere gli occhi, a furia di non tenerli spalancati di fronte a tutta la poesia e la bellezza che si frapponeva tra lei e la sua anima, ogni volta, per non ammettere di avere paura, perché sarebbe stato troppo normale avere paura, e lei la normalità non la riusciva ad accettare. Si strizzò ancora gli occhi e guardò le foglie, guardò la loro bellezza, pensò al loro coraggio nell’accettare il corso naturale delle cose, nell’accettare di dover cadere per poter andare lontano, spinte dal vento, pensò a loro e si chiese se avessero paura, un po’ come noi esseri umani abbiamo paura di compiere un passo o di morire, probabilmente anche loro si facevano domande assurde, si chiedevano dove sarebbero andate a finire una volta cadute, di che colore sarebbero diventate, cosa si sarebbero perse. Nessuno lo sa che anche loro si fanno queste domande perché agli occhi di tutti sembrano immobili. Nessuno si accorge, invece, che ballano al vento, brillano alla luce del sole e splendono con quelle della notte. Nessuno se ne accorge perché le foglie sono felici anche quando sono per terra, schiacciate da passi frettolosi o da passeggeri pensanti, le foglie non hanno paura, ed è per questo che riescono ad essere così belle anche quando tutto sembra finito. Amye ne raccolse una, la più rossa e, come sempre, la mise nella sua pagina preferita dell’agenda, quella col numero diciassette e da quel momento promise a se stessa di non chiudere mai più gli occhi, ma di tenerli spalancati, sempre, anche nei momenti più bui.