Il vento graffiava loro la pelle, sputava polvere e terra sui loro corpi aridi ed essiccati dal sole, corpi di involucri stanchi fuori e vivi, come non mai, dentro. Bastò un attimo per distogliere i loro sguardi dalla strada: uno spiraglio di luce irradiava quei fiori selvaggi, quei fiori senza nome, quei fiori così belli, quei fiori così rari. Sui loro volti apparve lo specchio del resto del mondo, di quel frammento isolato di luce, quel frammento prospero e colmo di vita, quello spazio lontano da tutto, mentre intorno il buio divorava a morsi lo spazio. Si sentirono affini a quei fiori selvaggi, alla costante sete di vita, alla costante lotta per accaparrarsene un pezzo, su quella strada disfatta e infinita, su quella strada contorta e bucata, a volte fluida altre inanimata, vibrarono a stento quando videro intorno il cemento, vibrarono a stento per poi perdersi ancora nel vento a cercare altri spazi, altri luoghi, in cui crescere, vivere e librare liberi.