Post fuori dagli schemi, diverso dal solito ma sempre uguale a me, scritto a lume di candela, dopo aver suonato un po’ la mia chitarra: sono Francesca Emilio, il mio nome d’arte è Gueva, me lo sono scelto parecchi anni fa, ed è merito di un mio caro amico di Bitonto, Valerio, se mi sono accorta che era possibile estrapolare dal cognome di Che Guevara, Gueva, un nome che sin dal primo momento ho sentito mio. A me Che Guevara piaceva, l’ho conosciuto prima per le sue poesie che per il resto, me le traducevo con cura e le leggevo prima di andare a dormire quando avevo 15 anni. Una, in particolare, mi rimase impressa: quella che Ernesto dedicò ad una signora in punto di morte, Vecchia Maria, è questo il titolo. Lui, a mio parere, medico umano, troppo – troppo – umano, vide in quegli occhi la vita passata, la vita che quella donna non aveva potuto vivere perché limitata alla sua esistenza colma di stenti, povertà e diritti violati. Mi rimbombano ancora in testa quelle parole, conoscevo a memoria quella poesia, ho dimenticato parecchie cose con il tempo e con gli anni, ho dimenticato anche la melodia che ci canticchiavo su ma non ho dimenticato le sensazioni e le emozioni che quelle parole mi provocano: mi hanno resa consapevole, mi ricordano chi sono e cosa voglio, le sento ancora mie quelle parole e sento ancora mia la necessità di dover scrivere e cantare per dire qualcosa, per non far morire le idee migliori, per non far affievolire la speranza, la stessa che nutriva Che Guevara e che nutro anche io, in fondo a tutta la mia rabbia: la speranza che questa società possa migliorare. Quel nome, Gueva intendo, mi si è appiccicato addosso sin da subito, ho avuto momenti di esitazione quando ho scoperto che il significato della parola era testicolo: ho perso litri di acqua a furia di ridere. Solo in quel momento ho pensato che era meglio cambiarlo, poi, sono tornata sui miei passi, in fondo, per stare al mondo, per stare in questo mondo, per lottare contro l’indifferenza, contro le ingiustizie, contro i valori sballati e la carenza di emozioni, ci vogliono gli attributi e io ne avevo bisogno, ne ho bisogno ancora oggi, ne ho bisogno tutte le volte in cui la paura mi assale, perché è normale, è normale avere paura, paura di non farcela, paura di affogare nel marciume italiano, paura di fuggire e ricominciare da capo abbandonando tutto, nonostante le idee sul voler realizzare certi progetti siano più che ben chiare. Questo nome mi ricorda di avere coraggio, di non arrendermi, mai, a niente, di non avere paura di essere quella che sono e di comunicare, di raccontare storie, di condividere le mie idee e di seminare semi di consapevolezza, verità, quelle migliori e quelle peggiori, quelle che percepisco come piombo su terra fertile, quelle che uccidono ogni giorno anima e corpo rendendo gli esseri umani sterili emotivamente, incapaci di indignarsi, inconsapevoli dei diritti e dei doveri, superficiali, corrotti, pronti a giudicare senza ascoltare, pronti a restare dietro uno schermo e a criticare piuttosto che ascoltare e praticare, anche solo nelle piccole cose, la rivoluzione. Io la pratico la mia piccola rivoluzione e, la mia piccola rivoluzione, sta nell’esprimere le mie idee, nel difendere i miei ideali, nel raccontare storie mie e altrui attraverso l’arte di cui sono capace: la scrittura e il canto. Lo so, non sono una militante, non sono iscritta a nessun partito politico, non mi interessa a dire il vero, perché per me la verità – scusate in anticipo per l’assurdo gioco di parole – sta nella verità e la verità è, allo stesso tempo, ovunque e da nessuna parte. Potrebbero essere tutti nemici o tutti amici: a me piace indagare, conoscere, capire e poi decidere. La mia piccola, piccolissima rivoluzione, sta anche in questo, sta nel fatto che vado oltre le apparenze, che mi ricordo ogni giorno che sono Francesca Emilio – Gueva e che non importa dove e quando, non importa se avrò di fronte persone pronte a lanciarmi sassi o persone pronte ad elogiarmi, io porterò con me sempre quello che sono per fare in modo che, alcune idee, alcune cose in cui credo e per cui io lotto attraverso la mia piccola rivoluzione, sfiorino, anche di traverso, le orecchie di chi in totale disaccordo, lo so, non è così che cambierà il mondo, non è attraverso le mie parole, non è attraverso le canzoni che scrivo, gli articoli, i post sul blog, le storie, le poesie, non è neanche attraverso le canzoni che scelgo di cantare ma è pur sempre qualcosa, è pur sempre meglio di niente. Questo post – diverso dal solito – racchiude in mille e più caratteri quella parte di me che conoscono bene le persone che con me ci hanno a che fare ogni giorno, quella parte di me che nonostante abbia scelto il canto e la scrittura per esprimersi, la sua piccola rivoluzione la pratica in silenzio, senza fare troppo rumore, per paura di disturbare, perché in fondo, è sempre la stessa ragazza introversa di quei quindici anni, questo post è qui perché ho bisogno di metterlo da qualche parte per ricordare a me stessa che io sono e sarò per sempre, fino in fondo, Francesca Emilio trattino Gueva e non è giusto, non lo è per nessuno, praticare la propria piccola rivoluzione in silenzio.

Vi lascio qui alcuni versi della poesia di Ernesto Che Guevara, se siete arrivati fino a questo punto, leggetela, fatelo anche se Che Guevara non è uno dei vostri personaggi preferiti, potete essere contrari alle sue idee politiche, al suo modo di attuarle ma se siete umani, se credete nella poesia, nella gente che sa ascoltare gli altri anche attraverso il silenzio assoluto, nella gente che a modo proprio ha praticato piccole o grandi rivoluzioni, se anche voi ne praticate una o più di una, piccola o grande che sia, beh, andate fino in fondo e immaginate di essere prima la Vecchia Maria, una donna povera, in punto di morte e poi Ernesto, un uomo, un medico che credeva poco in se stesso e tanto in alcuni ideali – ideali di uguaglianza, giustizia e legalità – che lo hanno visto morire prima del tempo e lo vedono morire ogni giorno.

Vecchia Maria, stai per morire, voglio dirti qualcosa di serio: la tua vita è stata un rosario completo di agonie. Non hai avuto amore d’uomo, salute e denaro, soltanto la fame da dividere con i tuoi; Voglio parlare della tua speranza. Ascolta, nonna proletaria: credi nell’uomo che sta per arrivare credi nel futuro che non vedrai, non pregare il dio inclemente che per tutta la vita ha deluso la tua speranza e non chiederà clemenza alla morte per veder crescere le tue grigie carezze; i cieli sono sordi e sei dominata dal buio, su tutto avrai una rossa vendetta, lo giuro sull’esatta dimensione dei miei ideali, tutti i tuoi nipoti vivranno l’aurora, muori in pace vecchia combattente. Voglio annunciarti, con la voce bassa e virile delle vendette, voglio giurarlo sull’esatta dimensione dei miei ideali: prendi questa mano d’uomo che sembra di bambino tra le tue levigate dal sapone giallo. strofina i tuoi calli duri e le pure nocche contro la morbida vergogna delle mie mani di medico. Riposa in pace vecchia Maria, riposa in pace vecchia combattente, i tuoi nipoti vivranno nell’aurora, lo giuro!